Nonostante la sua complessità organizzativa, la prestazione sensoriale della retina non è perfetta e la rappresentazione visiva del mondo non è spazialmente uniforme, poiché esiste uno squilibrio tra la vastità e la qualità della visione.
Lo scenario del mondo percepibile non può essere percepito tutto intero in tutti i suoi dettagli contemporaneamente, ma soltanto un oggetto alla volta e nitidamente riconoscibile; ciò avviene perché la regione foveale e molto piccola e, di conseguenza, solo una piccolissima porzione della scena, che di volta in volta circonda l’osservatore, è apprezzabile in modo soddisfacente (immagine ottica foveale), mentre tutto il resto è indistinto e confuso (immagini ottiche extra foveali e periferiche).
La percezione del mondo è quindi soddisfacente solo per gli oggetti di volta in volta fissati, la cui immagine si forma sulla fovea; sotto questo profilo, la visione e una successione d’immagini, di piccoli frammenti visivi che tuttavia costituiscono i tasselli di un mosaico assemblato dal cervello.
Senza la messa a punto cerebrale, la visione avrebbe un carattere episodico, discontinuo, saltellante, casuale; il cervello svolge un’operazione di memoria, mettendo insieme le singole immagini foveali e conferendo loro un’unita logica.
La visione in filosofia, l’occhio organo passivo o attivo?
La domanda su come l’uomo veda, trova risposta in alcuni filosofi, che pongono la loro attenzione più che sul piano gnoseologico (cioè della conoscenza) del vedere, sul piano pratico di questo atto, risultato dell’esperienza umana.
Queste prospettive mettono l’accento sul primato della valenza esistenziale dell’apparato visivo che permette un processo multidimensionale attivo e selettivo, caratterizzato dall’immediatezza e orientato dall’esperienza.
Sono due le direttrici filosofiche attraverso le quali si sono sviluppate le teorie sulla visione e si distinguono per i presupposti epistemologici.
Una privilegia la visione del soggetto (uomo) come colui che riceve passivamente ciò che il mondo esterno gli propone, alla base di queste teorie c’è la certezza della realtà e della conoscibilità del mondo, la vista è uno strumento percettivo affidabile e prioritario.
L’altra posizione, guarda al soggetto come parte attiva nel processo, presupponendo l’intenzione del vedere: quindi un processo attivo e soggettivo, che crea il mondo circostante, la cui realtà non è direttamente accessibile ma deve essere mediata dalle rappresentazioni mentali.
Dssa Arabel Padovan
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